«Il massimo del tempo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei» confessò Calvino in un’intervista del 1979. E in effetti intrattenne con la casa editrice Einaudi – e con «il padrone», Giulio – un rapporto pluridecennale, iniziato in maniera saltuaria nell’immediato dopoguerra e continuato fino al 1983 nelle diverse vesti di impiegato, dirigente e infine assiduo collaboratore.
Calvino si occupava, tra l’altro, dei rapporti con gli autori italiani e dell’ufficio stampa: un’attività documentata anche dalle circa cinquemila lettere conservate nell’archivio della casa editrice Einaudi. Un immenso corpus dal quale Giovanni Tesio ha trascelto le oltre trecento missive qui raccolte e le ha accompagnate con essenziali note esplicative che identificano il destinatario e ricostruiscono il contesto.
Le parole di Calvino, sempre improntate a uno stile amichevole e colloquiale, raccontano il dietro le quinte di un “mestiere dei libri” esercitato con emozione e al tempo stesso con disincantata professionalità: la scoperta di nuovi autori, i rifiuti, le polemiche letterarie, i premi, i consigli dispensati ad autori esordienti o affermati, le discussioni con i traduttori. Ne emerge il ritratto di un grande intellettuale, di un ambiente lavorativo che lo stesso Calvino definiva «modello per il resto dell’editoria italiana», e di una stagione irripetibile della letteratura e della cultura italiane, i cui protagonisti si chiamavano Elio Vittorini, Natalia Ginzburg, Carlo Cassola, Anna Maria Ortese, Leonardo Sciascia.
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